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MONDIALISMI

Spoiler: qui non ci vestiremo a lutto per l’esclusione dell’Italia dai mondiali di calcio, quindi se siete in cerca di un altro pezzo per poter provare a elaborare la sconfitta, purtroppo non siamo quello che state cercando. Lo spettacolo continuerà anche senza l’Italia e resterà comunque l’evento sportivo più affascinante e partecipato del globo insieme alle Olimpiadi. Verrebbe da fare una citazione facile a Pasolini e al calcio come ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, oppure più semplicemente al calcio come metafora di incontro e dialettica tra visioni diverse non solo del gioco del pallone, ma anche del mondo, che ogni nazionale si porta appresso, seppur in dimensione forse minore rispetto al passato, ma tant’è. Perché dalla prima edizione del mondiale, quando ancora si chiamava coppa Rimet, nel 1930, i mondiali di calcio sono stati l’elevazione alla massima potenza della metafora del calcio, con la vittoria finale della squadra più forte del tempo, l’Uruguay già campione olimpico in carica. Attenzione, il valore metaforico non è da considerarsi positivo tout-court, Italia 1934 fu sotto moltissimi punti di vista una dimostrazione di forza, non meramente calcistica e arroganza del regime fascista, che Hitler cercò poi di imitare con le Olimpiadi berlinesi due anni dopo, con la vittoria ripetuta dell’Italia nel ’38 si chiuse poi l’epoca dei mondiali precedenti al secondo conflitto mondiale e si aprì un’altra fase. Arriviamo così a Brasile ’50, sembrava il momento perfetto per la celebrazione dello strapotere sportivo della squadra verde-oro, eppure qualcosa andò storto, una sola partita capace di trasformarsi in dramma non solo sportivo, ma anche umano, la finale persa al Maraçana dai brasiliani con l’Uruguay, l’1 a 2, il gol finale di Chiggia, che diventa qualcosa di più di un giocatore che risolve una partita, si trasforma in giustiziere di un intero paese, ammutolisce uno stadio intero, forse una nazione. Il mondiale 1954 che vede trionfare la Germania ovest sulla quotatissima Ungheria passa alla storia come il primo mondiale trasmesso in televisione, qualcosa sta iniziando a cambiare anche nella fruizione dell’evento, potremmo tirare in ballo McLuhan e lo studio sui media freddi e caldi per descrivere cosa comporta l’ingresso della televisione. Svezia ’58 ci consegna non solo il primo, agognato, titolo del Brasile, ma consegna al mondo un diciassettenne che ha le stimmate del predestinato, uno di quei giocatori assunti a metro di paragone, per alcuni il migliore di sempre, meglio noto come Pelé. Cile 1962 fu, solo sportivamente, una mattanza, Pelé si infortuna presto e salta il torneo, l’unico portiere della storia capace di vincere il pallone d’oro, Lev Yashin, si infortuna contro i padroni di casa e l’arbitro nemmeno sanziona l’intervento, alla fine a spuntarla nonostante le assenze sarà comunque il Brasile contro la Cecoslovacchia. Il 1966 vede la consacrazione, per ora unica nella storia della nazionale delle tre rose, l’Inghilterra, un rapporto strano con la Coppa del mondo inizialmente il rifiuto assoluto a partecipare, il progressivo convincimento e l’affermazione del ’66, pare ironico che i creatori del calcio, con il carico di campioni che si sono sempre portati appresso non siano riusciti né prima né dopo ad affermarsi (per ora, aspettiamo la Russia) e anche questa vittoria risulta macchiata, chiedete ad un tedesco, della parte Ovest, di quella finale e vi dirà del gol fantasma di Hurst per il 3-2. Arriviamo così a Messico 1970, l’ultima coppa Rimet, l’ultimo mondiale di Pelé, il primo mondiale trasmesso a colori, il mondiale della “partita del secolo” tra Italia e Germania Ovest allo stadio Azteca, con l’Italia che arriva da campionessa continentale, 4-3 e una partita consegnata alla storia, anche se come fece notare Brera fu una partita che tatticamente divenne nulla nel secondo tempo, che ha conquistato quindi un’aura che forse va ben oltre il valore effettivo, senza volerne sminuire il valore, anche in questo caso, non solo calcistico, ma non basta quella partita a vincere il mondiale, perché in finale c’è il Brasile di Pelé, uno scoglio insormontabile. Il primo mondiale targato FIFA si disputa in Germania Ovest e dalla Germania Ovest viene vinto, eppure è il mondiale che passerà alla storia per altre partite, anzi una in particolare; Germania Est- Germania Ovest, decide Sparwasser, vittoria per la squadra che veniva dall’est, capirete che non è solo calcio, è politica, storia. Ma sarà anche il mondiale che ci consegna una delle squadre più belle di sempre, l’Olanda, eterna seconda, perennemente sconfitta, ma rivoluzionaria, bellissima (ultimamente di meno, va detto) ma quell’Olanda è quella di Johan Cruyff e potremmo anche fermarci qui, a discettare di bellezza, di calcio totale e di quanto abbia influenzato il calcio contemporaneo. Il mondiale di Argentina ’78 rimanda a quel legame tra regime e calcio, Videla e i suoi generali hanno preso il potere e riescono pure nell’intento di celebrare l’Argentina con la vittoria, ma anche stavolta, la storia ci racconta un’altra pagina, quella dell’esclusione dell’astro nascente del calcio, Maradona, si dice per motivi politici. Anche Cruyff salterà il mondiale, per dissidi interni e per motivi personali, ancora una volta Olanda seconda. Il Mundial spagnolo del 1982, vede il trionfo della nazionale italiana, dopo aver battuto tutte le squadre più quotate, il Brasile, l’Argentina, stavolta armata di Maradona e in finale la Germania, Tardelli e l’urlo sono storia. Il mondiale del 1986 consacra Maradona, che conduce l’Argentina al trionfo, il mondiale della “mano de dios”. Nel 1990 l’Italia torna a ospitare i mondiali dopo 56 anni, “Notti Magiche” cantano Bennato e la Nannini, ma di quella canzone si approprierà almeno in parte la Germania Ovest campione. Il 1994 fa rivivere all’Italia i fantasmi del 1970, sconfitta in finale col Brasile, stavolta ai rigori, sbaglia proprio chi meno sembrava potesse sbagliare, Roberto Baggio. A Francia ’98 si affermano i padroni di casa, Ronaldo salterà la finale per intossicazione, si vocifera voluta e la Francia entra nel club dei vincitori di mondiali, dove mai era entrata. Era però solo rimandato l’appuntamento tra il Brasile e il quinto titolo, Ronaldo, Ronaldinho, Rivaldo, Cafù, Roberto Carlos, un’armata, cavalcata trionfale. A Germania 2006 l’Italia sembra capitata per caso con l’esplosione di Calciopoli, ma diverrà forse una molla nel gruppo azzurro, che batte in semifinale i padroni di casa e ai rigori la Francia, decide Grosso, la tradizione di operai del pallone che si immolano alla storia prosegue. Sudafrica 2010 rispetta in toto i pronostici con la vittoria spagnola e così fa Brasile 2014 con la vittoria della Germania, il Brasile subisce un’altra onta casalinga, 7-1 contro i futuri campioni. Ma i mondiali non sono storie di partite, sono storie di paesi e culture e così sarà anche Russia ’18, senza Italia.


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