ANCORA SULLA MUSICA CHE NON E’ UNA COSA SERIA
- canisciolti17
- 2 mag 2018
- Tempo di lettura: 2 min
Mentre vi scrivo è in corso il Concertone del primo maggio, anzi sono in corso due grandi concerti, quello di Roma e quello di Taranto, a cui ci lega un affetto particolare. Ma non vi voglio parlare del concerto, voglio parlarvi del conduttore e dei suoi compagni, voglio parlarvi de Lo Stato Sociale, perché mi è venuto in mente come succede ai vecchi, quando ho incontrato la loro musica, prima che su affermassero nel panorama nazionale a tutti gli effetti, a scanso di equivoci, non ho intenzione di fare il purista e gridare allo scandalo perché si sono venduti al mainstream, perché ha ragione Lodo Guenzi quando dice che la soluzione non è nell’eremitaggio. Quest’anno per Lo Stato Sociale è stato un anno intenso, da Sanremo al Concertone, ma con Lodo da conduttore, ecco, i ricordi riaffiorano proprio così, mi ricordo di ormai sei anni fa, quando incontrai la loro musica, “Mi sono rotto il cazzo” e “Turisti della democrazia” da lì ho continuato a seguire la loro storia ininterrottamente, proseguita con un album nel 2014 “L’Italia peggiore” e l’anno scorso con “Amore, Lavoro e Altri Miti da sfatare”. Poi l’esplosione vera, almeno nel panorama nazional-popolare, con il singolo presentato a Sanremo, il secondo posto finale, il pezzo che è diventato un tormentone tuttora in rotazione in radio, la vecchia che balla che diventa un caso mediatico e tutto il resto. Politici da sempre, in un paese in cui prendere parte è sempre un problema, capaci di andare sul palco dell’Ariston con i nomi di cinque operai FIAT licenziati ingiustamente, reintegrati ma mai effettivamente reinseriti nell’azienda, ecco, potrei fermarmi qui per esprimere il concetto, entrare nel panorama nazional-popolare non significa necessariamente cessare di essere e di trasmettere determinati messaggi, basterebbe fermarsi ad ascoltare con attenzione “Una vita in vacanza” che è un pezzo sì scanzonato, ma non per questo privo di un contenuto reale, parla di noi, partendo da noi. Cinque ragazzi di circa trent’anni, tre di loro,

i fondatori, provenienti da una radio, Radiocittà Fujiko, che parlano di lavoro, di giovani, d’amore, di politica, non vi sembra nuovo? Avreste pure ragione, ma siamo abituati a sentirci raccontare dai cinquantenni (in su) o da gente che di noi, come generazioni, come abitudini, usi, linguaggio, non conosce niente, mentre Lo Stato Sociale sì, ecco perché parla di noi, partendo da noi. Amore e politica, testi romantici, qualcuno dice pure smielati che piacciono agli e alle adolescenti ai primi amori (ma non solo), testi impegnati che piacciono ai politicizzati, quelli che sono rimasti insomma, ma non solo, perché la forza vera sta nel linguaggio e nel suo uso, capace di avvicinare a tematiche importanti e ideologiche (questa brutta parola) gente che magari fino a quel momento nulla aveva avuto a che fare con l’ideologia e la politica, il pane e le rose insomma. Non possiamo considerare un danno saper parlare di politica senza per questo diventare noiosissimi e soporiferi, semmai ci sarebbe da imparare, da osservare e da capire, che non c’è nulla di male a dire che “è un po’ di tempo ormai che vendiamo solo sangue e compriamo solo merda” mentre ci chiediamo un bacio “che fuori è la rivoluzione che non passerà in tv”.
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