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Teratophobia: ovvero come ti ribalto la poesia italiana (con incredibile garbo)

Vi parlo di teratophobia, raccolta di poesia di Gaia Giovagoli, per ‘round midnight edizioni. Possiamo girarci intorno, possiamo fare tutte le riflessioni linguistiche del caso (e questo è uno di quei casi in cui ci sarebbe parecchio da dire) cosa che mi guarderò bene dal fare, perché lasciando da parte tutte quelle che possono essere le discussioni, le riflessioni importantissime che in questo momento inondano il panorama della poesia italiana, come forse, tutte le forme di comunicazione contemporanea alla ricerca di qualcosa di non ben identificato, rimane un fattore, uno solo, passato, presente e futuro, esistono due tipi di prodotti, i prodotti belli e quelli brutti, e questo, signori miei, questo è proprio un bel prodotto.

E’ un bel prodotto proprio perché conosce ma ignora quella riflessione imperante nel panorama della poesia, non cerca di cambiare il panorama, ma, probabilmente in modo inconsapevole ci riesce. Ci riesce perché crea una quadratura interessante intorno a ciò che dovrebbe essere non solo la poesia, ma la comunicazione fra esseri umani, anche quando ciò che si cerca di comunicare è il distacco, la paura di esso e di tante altre cose. Slacciare, strappare, pesare sono parole ricorrenti, utilizzate con un peso, il peso del bisogno di scriverle, di comunicarle, di far si che chi le legge le capisca per bene, perché sono parole importanti. La fisicità, braccia costole, ginocchia, le vene, il sangue, tutto ciò che hai e che ti appartiene ma può essere mosso è condiviso, il movimento è un punto importante, non tanto nell’esser nominato all’interno della raccolta, ma spalmato nel suo significato per tutta la sua durata, il verso ha un suo movimento, un suo perché, una sua ragione d’esistere e di esser letto. La Giovagnoli si presenta con una raccolta che è destinata a far parlare, lo farà perché nel marasma di voci montate e di plastica che avvolgono la poesia italiana ha qualcosa che altri non hanno, qualcosa da dire e, scusate se è poco, il modo di dirlo. E’ una raccolta di qualità, di sostanza, che utilizza un linguaggio semplice, ma lo utilizza talmente bene da poter essere stratificato nella lettura, non solo del suo significato ma, per coloro che fossero interessati a guardare veramente nel verso stesso. Questa raccolta appartiene ad un gruppo particolare di letture, che in questi anni e ancor più recentemente stanno tracciando la strada all’interno dell’infinita confusione, ponendo dei punti fissi, punti per poggiare i piedi senza cadere, Gaia Giovagnoli con Teratophobia ha appena contribuito a delineare questa strada, in maniera probabilmente inconsapevole, proprio qui, sta la forza, la forza di ribaltare la poesia italiana, ma con incredibile Garbo.

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